Il funerale del Cardinal Siri


Quel pomeriggio del 5 maggio 1989 il duomo di San Lorenzo, a Genova, era stipato. Vi erano cinque cardinali, una ventina di vescovi, circa trecento preti concelebranti, le autorità cittadine e regionali, membri del governo centrale, le varie associazioni cattoliche, ma soprattutto lui, il popolo, che gremiva la chiesa, la piazza antistante, le vie adiacenti. Il popolo minuto, fatto di uomini e donne, vecchi e giovani uniti nel fatto di essere umili e poveri e di rimpiangere, essi veramente con cuore sincero, un pastore come il Cardinal Siri che forse non tutti avevano potuto accostare, nemmeno nelle frequenti visite pastorali o nelle celebrazioni a cui interveniva, ma che in tanti anni si erano abituati a considerare come uno di casa per Genova, se non per ciascuna famiglia: sapevano che una relazione a livello domestico sarebbe stata impossibile, ma ora prendevano una coscienza ancor più viva di ciò che avevano a lungo sentito e saputo: cioè che a livello di rapporto civico, diocesano, pastorale, il Cardinal Siri, sì, era stato uno dei loro, uno di tutti. I non pochi che avevano potuto accostarlo, parlargli, dialogare con lui, sapevano questo da sempre, o almeno dagli anni in cui, libero da impegni extradiocesani, si era dedicato piena mente alla sua gente.

Quella sera, in San Lorenzo, erano presenti soprattutto loro, i piccoli, la gente umile, che già nei giorni precedenti si era mossa da tutta la città e dalla riviera per andare a vederlo e a salutarlo davanti al presbiterio della sua cattedrale, dove era tornato per sempre. Lo trovavano lì, disteso nel sonno della morte su di un catafalco decoroso e austero, rivestito dei paramenti sacri, con la mitra in testa e il pastorale in mano, da vescovo. La porpora e il galero cardinalizio erano da un lato, non certo spregiati, ma diventati inutili, messi da parte. Ciò che rimaneva in eterno era il carattere sacerdotale di quell’uomo diventato prete e poi vescovo molto presto, tanto da sembrare predestinato a ricevere quell’ufficio e a rivestire quelle insegne, quei paramenti, dai quali ancora adesso emergeva il suo viso dagli occhi spenti nel soffuso pallore cadaverico, ma sempre forte, serio e ieratico, e anche ben fatto, bello. La sua Genova lo amava anche così, e veniva a dargli l’ultimo saluto collettivo, mentre si preparava a tornare a visitarlo con maggiore tranquillità in seguito, una volta seppelito lì in San Lorenzo, nella tomba preparata sotto l’altare di San Giuseppe, a destra del presbiterio, di fronte alla cappella della Madonna del Soccorso. Per settimane e per mesi sarebbe continuato il pellegrinaggio e l’offerta dei fiori, che anche adesso non mancano mai su quella tomba.

[Tratto dal libro "Il Cardinale Giuseppe Siri" di Raimondo Spiazzi, Edizioni Studio Domenicano].

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