Il funerale del Cardinal Siri
Quella sera, in San Lorenzo, erano presenti soprattutto loro, i piccoli, la gente umile, che già nei giorni precedenti si era mossa da tutta la città e dalla riviera per andare a vederlo e a salutarlo davanti al presbiterio della sua cattedrale, dove era tornato per sempre. Lo trovavano lì, disteso nel sonno della morte su di un catafalco decoroso e austero, rivestito dei paramenti sacri, con la mitra in testa e il pastorale in mano, da vescovo. La porpora e il galero cardinalizio erano da un lato, non certo spregiati, ma diventati inutili, messi da parte. Ciò che rimaneva in eterno era il carattere sacerdotale di quell’uomo diventato prete e poi vescovo molto presto, tanto da sembrare predestinato a ricevere quell’ufficio e a rivestire quelle insegne, quei paramenti, dai quali ancora adesso emergeva il suo viso dagli occhi spenti nel soffuso pallore cadaverico, ma sempre forte, serio e ieratico, e anche ben fatto, bello. La sua Genova lo amava anche così, e veniva a dargli l’ultimo saluto collettivo, mentre si preparava a tornare a visitarlo con maggiore tranquillità in seguito, una volta seppelito lì in San Lorenzo, nella tomba preparata sotto l’altare di San Giuseppe, a destra del presbiterio, di fronte alla cappella della Madonna del Soccorso. Per settimane e per mesi sarebbe continuato il pellegrinaggio e l’offerta dei fiori, che anche adesso non mancano mai su quella tomba.
[Tratto dal libro "Il Cardinale Giuseppe Siri" di Raimondo Spiazzi, Edizioni Studio Domenicano].